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IL CORPO E LA SUA PERCEZIONE: LA RICERCA DI WERA GRZES
YAS
Arte e Attivismo
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Quest’articolo del blog è stato scritto a quattro mani dall’artista Wera Grzes e da Delia Mangano, curatrice e fondatrice di YAS.
Wera
Wera Grzes è una pittrice, artista visiva e poetessa nata nel 1996 a Poznan, in Polonia. Ha studiato all'Accademia di Belle Arti di Danzica (PL) presso la Facoltà di Educazione Artistica e Pittura. Nell'autunno del 2020, ha iniziato gli studi del suo master in Contemporary Art Practice presso la Hochschule der Künste di Berna. Da allora, il suo lavoro si è concentrato su temi come il ritratto femminile, l'autoritratto e la sorellanza. Nei suoi dipinti, cerca nuove soluzioni visive per comprendere il "sé" che riguarda la storia della pittura europea e l'arte femminista.
Il suo ultimo lavoro è una serie di dipinti intitolata "Nephele." Ha iniziato a lavorare alla serie nell'estate del 2023 durante una residenza d'artista organizzata dalla Culterim Gallery di Berlino. Lo ha poi continuato in inverno durante una residenza d'artista a ViaFarini a Milano. Il titolo Nephele, la dea mitologica delle nuvole, appare come pretesto per il suo lavoro sull'immagine del corpo. Per l'artista, è un'entità simbolica che sfugge definizioni e categorizzazioni - lascia spazio per l'auto-creazione e la trasformazione della sua forma.
Le opere sono ritratti del corpo dell'artista, che svolge un processo senza fine di creazione del sé. E mentre può sembrare che il corpo sia una forma definita, in realtà lo è solo in apparenza.
La serie Nephele è un'espansione dei suoi pensieri sul ritratto e l'autoritratto. Negli anni precedenti, l’artista ha lavorato sull'immagine del volto, come nella serie di disegni "Vorrei che non mi vedessero."
In questa serie, ha usato una foto di sua sorella come pretesto per dipingere, creando 111 opere ritratto. Per tre mesi, disegnò il volto della sorella basandosi sulle stesse due fotografie ogni giorno. Attraverso la natura ripetitiva dell'immagine e la sovrabbondanza di opere, le opere non rappresentano un ritratto accurato di una persona nota all'artista, ma piuttosto una rappresentazione dei mutevoli stati d'animo e delle emozioni dell'artista verso la sorella.
Nei lavori successivi (soprattutto dalla serie successiva: “io e mia sorella sogniamo il prato”), la rappresentazione del volto scompare gradualmente. Rimane solo la tensione tra l'artista e la persona ritratta - i dipinti diventano ritratti di relazioni, apparendo come paesaggi di tensione, esperienze condivise, narrazioni e ricordi.
Lo stesso accade nella serie di opere di Nephele. La forma del corpo si dissolve nei paesaggi nelle opere. In questo modo, diventa un ricordo di esperienze, sentimenti e tensioni.
La gerarchia tradizionale delle singole parti del corpo scompare. Il viso diventa uguale alla mano, al piede o allo stomaco. Confronti e categorie come più brutti, più belli e più appropriati svaniscono, mentre la forma si dissolve orizzontalmente a favore della sua avventura di scoperta di sé.
Per l'artista è quello di opporsi alla visione patriarcale del corpo, soprattutto quello femminile. Il corpo femminile è spesso inscritto nel quadro delle nozioni e delle aspettative patriarcali maschili. Lo troviamo per secoli nelle storie di Pigmalioni e Galatee. L'artista rifiuta lo sguardo esterno e si concentra sull'esplorazione del corpo dall'interno, lasciando che i suoi sentimenti interiori seguano il processo di divenire e morire. Per lei, è la libertà dell'auto-creazione e dell'auto-definizione, dove l'occhio interiore segue i processi del corpo - e la mutua creazione e trasformazione del proprio sé fluido - assumendo forme diverse - così diverse come raggiunge la nostra immaginazione.
Delia - YAS
“Il corpo è una creazione artificiale – un fantasma. Di per sé – ricco di passioni, emozioni, esperienze – è una forma in continua evoluzione che creo e riplasmo attraverso la mia conoscenza. Allo stesso tempo gli do forma e lei mi dà forma." (Wera Grzes)
Il corpo, la figura, la rappresentazione di esso e dell’artista attraverso la propria cifra stilistica sono da sempre al centro della storia dell’arte e molto comunemente della ricerca di moltǝ artistǝ, tanto da poter essere considerato un topos.
In un momento storico in cui si assiste ad un iper esposizione ed esibizione del corpo, in cui sono disponibili più strumenti che mai per modificarlo ed intervenire chirurgicamente su di esso pensiamo sia interessante e necessaria una riflessione sulla percezione del proprio corpo e dei corpi delle altre persone.
La ricerca di Wera, molto intimista, si sta sviluppando in questo senso anche nella direzione di un nuovo approccio al ritratto (soprattutto del femminile) esplorando la relazione tra pittura figurativa ed astratta, tra immagine e parola, piano e spazio, chi ritrae e chi viene ritrattǝ.
Allo stesso tempo, può essere considerata come un’emanazione ed una proiezione mentale dell’idea del corpo umano ed una proposta di indagine collettiva.
Per Wera è molto sentito anche il rapporto con la scrittura, tanto che si definisce poeta, i testi spesso accompagnano le tele, i disegni ed i ritratti, permettendo una mediazione poetica e più profonda per chi li guarda.
L’artista gioca e punta moltissimo sulla percezione anche per quanto concerne dei lavori più astratti e per la fase del loro allestimento, cercando ancora una volta il coinvolgimento di chi osserva l’opera e permettendo al lavoro di liberarsi in qualche modo da una forma predefinita da un formato standardizzato e dall’idea cristallizzata che può aver deciso l’artista.
Naturalmente, questo processo di liberazione del corpo e della percezione individuale permette di proporre una narrativa ed una visione in forte contrasto e quasi opposizione rispetto ai canoni estetici imposti dalla società, alla sessualizzazione e strumentalizzazione favorite dai sistemi patriarcali e capitalisti, specialmente per quanto riguarda l’estetica, la funzione, la rappresentazione e la libertà del corpo femminile o dei corpi considerati non conformi o non perfetti.
Come non pensare quindi alla lunga lista di artiste che hanno improntato tutta la loro pratica su queste tematiche, seppur con media e approcci molto diversi, come Pipilotti Rist, Ana Mendieta, Rebecca Horn, Vanessa Beecroft su tutte.
La ricerca di Wera però è più incentrata su un piano evoluzionistico, ecofemminista, infatti sul sentirsi in costante evoluzione è indicativo il nome della mostra Lucertole o Salamandre, due animali incredibilmente rigenerativi e trasformativi in termini di parti del loro corpo e pelle e accompagnati nei secoli da una simbologia fortissima riguardante la presunta capacità di resistere al fuoco e di domarlo.
In quest’ambito semantico si possono ritrovare anche delle analogie con la tematica dell’autogenerazione di se stessǝ, soprattutto metaforicamente, che rimanda ad innumerevoli riferimenti con la mitologia, la storia dell’arte e la psicologia, volendo anche al simbolo dell’Uroboro, il serpente primordiale associato alla morte, alla rinascita e all’eternità.
Allo stesso modo si può interpretare il rapporto con la natura, soprattutto gli alberi e le loro fronde, grazie anche ad un massiccio utilizzo del colore verde e delle sue sfumature da cui si evince una grande fiducia riposta nel potere taumaturgico che questi elementi sono in grado di avere e già si può intuire la viscerale dinamica di completamento con la parola.
Perché in fondo quando si inizia un percorso autentico di evoluzione personale ed artistica, è come se si iniziassero tanti cicli che sono connessi e risuonanti con quelli successivi ed è come si cambiasse costantemente pelle mentre il nucleo interno e ciò che realmente si è diventa sempre più intenso e fortificato.
Non è per nulla semplice traslare le meravigliose, complicatissime e delicate sfumature della percezione di se stess3 e della trasformazione in opere d’arte, nel caso di Wera è come se anche l’artista riuscisse in qualche modo a fondersi con la carta o sulla tela, lasciando un’impronta di colore che è poi una traccia di se e della fase di crescita in cui si è trovata.
Se dovessimo riassumere in una parola la sua poetica sarebbe mutevole, in un costante e perpetuo moto di definizione e presentazione di se stessa, provando a farlo attraverso un rapporto vivo e di dialogo con le forme ed il colore, liberi di stabilizzarsi senza regole e confini, in una tensione verso la propria definizione che in fondo è una perfetta sintesi della poetica di Wera.
Nella serie Nephele, dedicata alla ninfa delle nubi Nefele, il soggetto principale è proprio il corpo dell’artista, rappresentato in piccole e distinte parti che se visualizzate una accanto all’altra danno l’impressione di insieme e di sconfinare l’una nell’altra, anche grazie all’effetto morbido e sfumato dell’acquerello, che inganna l’occhio e crea l’illusione di un’espansione in corso, come appunto se si stessero osservando delle nuvole di passaggio nel cielo, e di una fusione con l’ambiente circostante.
Dal punto di vista tecnico, la carta è uno dei materiali prediletti dall’artista, su cui lascia traccia dei suoi movimenti e del processo creativo che li ha generati grazie al colore, prevalentemente acquerello, che per le sue caratteristiche sembra permettere alla carta di prendere vita agli occhi di Wera.
Sui supporti utilizzati dall’artista sono presenti moltissime sfumature, ombreggiature e sovrapposizioni di colore, che agevolano le realizzazione dei chiaroscuri, della contrapposizione tra pieni e vuoti ed la sapiente messa in pratica della prospettiva focale.
Inoltre, come spesso accade per chi sceglie una chiave più intimista, ritroviamo opere di piccolo formato ed un forte richiamo al libro e ad una fruibilità che può anche essere itinerante e pensata da portare con sé.
In generale spesso i singoli lavori sono parti di dittici, trittici o piccole serie e dialogano tra loro.
Wera
Wera Grzes è una pittrice, artista visiva e poetessa nata nel 1996 a Poznan, in Polonia. Ha studiato all'Accademia di Belle Arti di Danzica (PL) presso la Facoltà di Educazione Artistica e Pittura. Nell'autunno del 2020, ha iniziato gli studi del suo master in Contemporary Art Practice presso la Hochschule der Künste di Berna. Da allora, il suo lavoro si è concentrato su temi come il ritratto femminile, l'autoritratto e la sorellanza. Nei suoi dipinti, cerca nuove soluzioni visive per comprendere il "sé" che riguarda la storia della pittura europea e l'arte femminista.
Il suo ultimo lavoro è una serie di dipinti intitolata "Nephele." Ha iniziato a lavorare alla serie nell'estate del 2023 durante una residenza d'artista organizzata dalla Culterim Gallery di Berlino. Lo ha poi continuato in inverno durante una residenza d'artista a ViaFarini a Milano. Il titolo Nephele, la dea mitologica delle nuvole, appare come pretesto per il suo lavoro sull'immagine del corpo. Per l'artista, è un'entità simbolica che sfugge definizioni e categorizzazioni - lascia spazio per l'auto-creazione e la trasformazione della sua forma.
Le opere sono ritratti del corpo dell'artista, che svolge un processo senza fine di creazione del sé. E mentre può sembrare che il corpo sia una forma definita, in realtà lo è solo in apparenza.
La serie Nephele è un'espansione dei suoi pensieri sul ritratto e l'autoritratto. Negli anni precedenti, l’artista ha lavorato sull'immagine del volto, come nella serie di disegni "Vorrei che non mi vedessero."
In questa serie, ha usato una foto di sua sorella come pretesto per dipingere, creando 111 opere ritratto. Per tre mesi, disegnò il volto della sorella basandosi sulle stesse due fotografie ogni giorno. Attraverso la natura ripetitiva dell'immagine e la sovrabbondanza di opere, le opere non rappresentano un ritratto accurato di una persona nota all'artista, ma piuttosto una rappresentazione dei mutevoli stati d'animo e delle emozioni dell'artista verso la sorella.
Nei lavori successivi (soprattutto dalla serie successiva: “io e mia sorella sogniamo il prato”), la rappresentazione del volto scompare gradualmente. Rimane solo la tensione tra l'artista e la persona ritratta - i dipinti diventano ritratti di relazioni, apparendo come paesaggi di tensione, esperienze condivise, narrazioni e ricordi.
Lo stesso accade nella serie di opere di Nephele. La forma del corpo si dissolve nei paesaggi nelle opere. In questo modo, diventa un ricordo di esperienze, sentimenti e tensioni.
La gerarchia tradizionale delle singole parti del corpo scompare. Il viso diventa uguale alla mano, al piede o allo stomaco. Confronti e categorie come più brutti, più belli e più appropriati svaniscono, mentre la forma si dissolve orizzontalmente a favore della sua avventura di scoperta di sé.
Per l'artista è quello di opporsi alla visione patriarcale del corpo, soprattutto quello femminile. Il corpo femminile è spesso inscritto nel quadro delle nozioni e delle aspettative patriarcali maschili. Lo troviamo per secoli nelle storie di Pigmalioni e Galatee. L'artista rifiuta lo sguardo esterno e si concentra sull'esplorazione del corpo dall'interno, lasciando che i suoi sentimenti interiori seguano il processo di divenire e morire. Per lei, è la libertà dell'auto-creazione e dell'auto-definizione, dove l'occhio interiore segue i processi del corpo - e la mutua creazione e trasformazione del proprio sé fluido - assumendo forme diverse - così diverse come raggiunge la nostra immaginazione.
slideshow di opere dalla serie Nephele
Delia - YAS
“Il corpo è una creazione artificiale – un fantasma. Di per sé – ricco di passioni, emozioni, esperienze – è una forma in continua evoluzione che creo e riplasmo attraverso la mia conoscenza. Allo stesso tempo gli do forma e lei mi dà forma." (Wera Grzes)
Il corpo, la figura, la rappresentazione di esso e dell’artista attraverso la propria cifra stilistica sono da sempre al centro della storia dell’arte e molto comunemente della ricerca di moltǝ artistǝ, tanto da poter essere considerato un topos.
In un momento storico in cui si assiste ad un iper esposizione ed esibizione del corpo, in cui sono disponibili più strumenti che mai per modificarlo ed intervenire chirurgicamente su di esso pensiamo sia interessante e necessaria una riflessione sulla percezione del proprio corpo e dei corpi delle altre persone.
La ricerca di Wera, molto intimista, si sta sviluppando in questo senso anche nella direzione di un nuovo approccio al ritratto (soprattutto del femminile) esplorando la relazione tra pittura figurativa ed astratta, tra immagine e parola, piano e spazio, chi ritrae e chi viene ritrattǝ.
Allo stesso tempo, può essere considerata come un’emanazione ed una proiezione mentale dell’idea del corpo umano ed una proposta di indagine collettiva.
Per Wera è molto sentito anche il rapporto con la scrittura, tanto che si definisce poeta, i testi spesso accompagnano le tele, i disegni ed i ritratti, permettendo una mediazione poetica e più profonda per chi li guarda.
L’artista gioca e punta moltissimo sulla percezione anche per quanto concerne dei lavori più astratti e per la fase del loro allestimento, cercando ancora una volta il coinvolgimento di chi osserva l’opera e permettendo al lavoro di liberarsi in qualche modo da una forma predefinita da un formato standardizzato e dall’idea cristallizzata che può aver deciso l’artista.
Naturalmente, questo processo di liberazione del corpo e della percezione individuale permette di proporre una narrativa ed una visione in forte contrasto e quasi opposizione rispetto ai canoni estetici imposti dalla società, alla sessualizzazione e strumentalizzazione favorite dai sistemi patriarcali e capitalisti, specialmente per quanto riguarda l’estetica, la funzione, la rappresentazione e la libertà del corpo femminile o dei corpi considerati non conformi o non perfetti.
Come non pensare quindi alla lunga lista di artiste che hanno improntato tutta la loro pratica su queste tematiche, seppur con media e approcci molto diversi, come Pipilotti Rist, Ana Mendieta, Rebecca Horn, Vanessa Beecroft su tutte.
La ricerca di Wera però è più incentrata su un piano evoluzionistico, ecofemminista, infatti sul sentirsi in costante evoluzione è indicativo il nome della mostra Lucertole o Salamandre, due animali incredibilmente rigenerativi e trasformativi in termini di parti del loro corpo e pelle e accompagnati nei secoli da una simbologia fortissima riguardante la presunta capacità di resistere al fuoco e di domarlo.
In quest’ambito semantico si possono ritrovare anche delle analogie con la tematica dell’autogenerazione di se stessǝ, soprattutto metaforicamente, che rimanda ad innumerevoli riferimenti con la mitologia, la storia dell’arte e la psicologia, volendo anche al simbolo dell’Uroboro, il serpente primordiale associato alla morte, alla rinascita e all’eternità.
Allo stesso modo si può interpretare il rapporto con la natura, soprattutto gli alberi e le loro fronde, grazie anche ad un massiccio utilizzo del colore verde e delle sue sfumature da cui si evince una grande fiducia riposta nel potere taumaturgico che questi elementi sono in grado di avere e già si può intuire la viscerale dinamica di completamento con la parola.
Perché in fondo quando si inizia un percorso autentico di evoluzione personale ed artistica, è come se si iniziassero tanti cicli che sono connessi e risuonanti con quelli successivi ed è come si cambiasse costantemente pelle mentre il nucleo interno e ciò che realmente si è diventa sempre più intenso e fortificato.
Non è per nulla semplice traslare le meravigliose, complicatissime e delicate sfumature della percezione di se stess3 e della trasformazione in opere d’arte, nel caso di Wera è come se anche l’artista riuscisse in qualche modo a fondersi con la carta o sulla tela, lasciando un’impronta di colore che è poi una traccia di se e della fase di crescita in cui si è trovata.
Se dovessimo riassumere in una parola la sua poetica sarebbe mutevole, in un costante e perpetuo moto di definizione e presentazione di se stessa, provando a farlo attraverso un rapporto vivo e di dialogo con le forme ed il colore, liberi di stabilizzarsi senza regole e confini, in una tensione verso la propria definizione che in fondo è una perfetta sintesi della poetica di Wera.
Nella serie Nephele, dedicata alla ninfa delle nubi Nefele, il soggetto principale è proprio il corpo dell’artista, rappresentato in piccole e distinte parti che se visualizzate una accanto all’altra danno l’impressione di insieme e di sconfinare l’una nell’altra, anche grazie all’effetto morbido e sfumato dell’acquerello, che inganna l’occhio e crea l’illusione di un’espansione in corso, come appunto se si stessero osservando delle nuvole di passaggio nel cielo, e di una fusione con l’ambiente circostante.
Dal punto di vista tecnico, la carta è uno dei materiali prediletti dall’artista, su cui lascia traccia dei suoi movimenti e del processo creativo che li ha generati grazie al colore, prevalentemente acquerello, che per le sue caratteristiche sembra permettere alla carta di prendere vita agli occhi di Wera.
Sui supporti utilizzati dall’artista sono presenti moltissime sfumature, ombreggiature e sovrapposizioni di colore, che agevolano le realizzazione dei chiaroscuri, della contrapposizione tra pieni e vuoti ed la sapiente messa in pratica della prospettiva focale.
Inoltre, come spesso accade per chi sceglie una chiave più intimista, ritroviamo opere di piccolo formato ed un forte richiamo al libro e ad una fruibilità che può anche essere itinerante e pensata da portare con sé.
In generale spesso i singoli lavori sono parti di dittici, trittici o piccole serie e dialogano tra loro.
THE BODY AND ITS PERCEPTION: WERA GRZES'
RESEARCH
This blog article was written by artist Wera Grzes and Delia Mangano, curator and founder of YAS.
Wera
Wera Grzes is a painter, visual artist, poet born in 1996 in Poznan. She studied at the Academy of Fine Arts in Gdansk (PL) at the Faculty of Art Education and Painting. In the fall of 2020, she began her master's studies in Contemporary Art Practice at the Hochschule der Künste in Bern. Since then, her work has focused on themes like female portraiture, self-portraiture, and sisterhood. In her paintings, she seeks new visual solutions for understanding the "self" concerning European painting history and feminist art.
Her latest work is a series of paintings entitled "Nephele." She began working on the series in the summer of 2023 during an artist residency organized by the Culterim Gallery in Berlin. She then continued it in the winter during an artist residency at ViaFarini in Milan. The title Nephele, the mythological goddess of clouds, appeared as a pretext for her work on body image. For the artist, it is a symbolic entity that escapes definitions and categorizations - it leaves room for self-creation and transformation of its form.
The works are portraits of the artist's body, which escapes frames and carries out an endless process of creating the "self." And while it may seem that the body is a defined form, this is only an appearance. The body defined by culture or society is a creation - a "phantom" - that freely transforms itself. The body, full with emotions, experiences, and tensions, is "an ever-forming form that I create and transform through cognition - at the same time, I give it form, and it gives form to me." - says the artist. Trying to follow the changes, she reaches for various forms of expression: from abstract to figurative painting, from painting to words.
The Nephele series is an expansion of her thoughts on portraiture and self-portraiture. In previous years, the painter has worked on the image of the face, such as in the series of drawings "I wish they didn't see me." In this series, she used a photo of her sister as a painting pretext, creating 111 portrait works. For three months, she drew her sister's face based on the same two photographs every day. Through the repetitive nature of the image and the overabundance of works, the works do not represent an accurate portrait of a person known to the artist, but rather a representation of the artist's changing moods and emotions towards her sister.
In later works (especially from the next series: me and my sister dream about the meadow), the representation of the face gradually disappears. Only the tension between the artist and the portrayed person remains - the paintings become portraits of relationships, appearing as landscapes of tension, shared experiences, narratives, and memories.
The same happens in Nephele's series of works. The form of the body dissolves into landscapes in the works. In this way, it becomes a record of experiences, feelings, and tensions. The traditional hierarchy of individual parts of the body disappears. The face becomes equal to the hand, foot, or stomach. Comparisons and categories such as uglier, prettier, and more appropriate vanish, as the form dissolves horizontally in favor of its adventure of self-discovery.
For the artist is to oppose the patriarchal view of the body, especially the female one. The female body is often inscribed within the framework of masculine patriarchal notions and expectations. We find it for centuries in stories of Pygmalions and Galateas. The artist rejects the external gaze and focuses on exploring the body from within, letting her inner feelings follow the process of becoming and dying. For her, it is the freedom of self-creation and self-definition, where the inner eye follows the processes of the body - and the mutual creation and transformation of one's own fluid self - taking different forms - as diverse as our imagination reaches.
slideshow di opere dalla serie Nephele
slideshow from Nephele artworks
Delia - YAS
"The body is an artificial creation - a phantom. In itself - full of passions, emotions, experiences - it is a constantly evolving form that I create and reshape through my knowledge. At the same time I shape it and it shapes me." (Wera Grzes)
The body, the figure, its representation and the artists’ body through their own stylistic figure have always been at the center of the history of art and very commonly of the research of many artists, so it can be considered a topos.
In a historical moment in which we witness a hyper exposure and exhibition of the body, in which more tools are available than ever to modify it and intervene surgically on it, we think it is interesting and necessary to reflect on the perception of your own body and the bodies of other people.
Wera Grzes’ research, very intimate, is developing in the direction of a new approach to the portrait (especially of the female) exploring the relationship between figurative and abstract painting, between image and word, plane and space, who portrays and who is portrayed.
At the same time, this can be considered as an emanation and a mental projection of the idea of the human body and a proposal for collective inquiry.
For Wera the relationship with the word and the act of writing is very felt, so much that she calls herself a poet; so the texts often are beside the canvases, drawings and portraits, allowing a poetic and deeper mediation for those who look at them.
The artist plays and puts a great deal of emphasis on perception also with regard to more abstract works and for the phase of their setting up, once again seeking the involvement of the viewer and allowing the work to somehow free itself from a predefined form from a standardized format and from the crystallized idea that the artist may have decided.
Of course, this process of liberation of the body and individual perception allows to propose a narrative and a vision in strong contrast and opposition to the aesthetic canons imposed by society, sexualization and instrumentalization favored by patriarchal and capitalist systems, especially as regards aesthetics, function, representation and freedom of the female body or bodies considered non-compliant or not perfect.
How not to think about the long list of female artists who have marked all their practice on these issues, even if with very different media and approaches, as Pipilotti Rist, Ana Mendieta, Rebecca Horn, Vanessa Beecroft on all.
Wera’s research, however, is more focused on an evolutionary plan, almost ecofeminist, in fact on feeling in constant evolution is indicative of the name of the exhibition Lizards or Salamenders, two animals incredibly regenerative and transformative in terms of parts of their body and skin and accompanied over the centuries by a very strong symbology regarding the alleged ability to resist fire and tame it.
In this semantic context we can also find analogies with the theme of self-generation itself, especially metaphorically, which refers to countless references to mythology, art history and psychology, we can think of the symbol of Ouroboros, the primordial snake associated with death, rebirth and eternity.
In the same way we can interpret the relationship with nature, especially the trees and their branches, thanks to a massive use of the color green and its nuances from which it is clear a great confidence placed in the healing power that these elements are able to have and already you can guess the visceral dynamics of completion with the word.
It is not easy at all to translate the wonderful, complicated and delicate nuances of the perception of oneself and the transformation into works of art, in Wera’s artwork we can see as the artist could somehow merge with paper or the canvas, leaving a color imprint that is a trace of itself and the growth phase in which it was found.
If we had to summarize in a word her research would be changeable, in a constant and perpetual motion of definition and presentation of herself, trying to do so through a living relationship and dialogue with shapes and color, free to stabilize without rules and boundaries, in a tension towards its own definition that is basically a perfect synthesis of Wera’s work.
In the series Nephele, dedicated to the homonymous nymph of the clouds, the main subject is precisely the body of the artist, represented in small and distinct parts that if displayed next to each other give the impression of ensemble and encroaching on each other, thanks to the soft and nuanced effect of the watercolor, which deceives the eye and creates the illusion of an ongoing expansion, as if you were observing clouds passing through the sky, and a fusion with the surrounding environment.
From a technical point of view, paper is one of the artist’s favorite materials, on which she leaves traces of her movements and the creative process that generated them thanks to the color, mainly watercolor, which for its characteristics seems to allow the paper to come to life to Wera’s eyes.
On the supports used by the artist there are many nuances, shading and overlapping colors, which facilitate the realization of the chiaroscuro, the contrast between full and empty and the wise implementation of the focal perspective.
Moreover, as often happens for those who choose a more intimate key, we find small-format works and a strong reference to the book and a usability that can also be itinerant and thought to take with you.
In general, often the single works are parts of diptychs, triptychs or small series and dialogue with each other.
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